I peptidi oppioidi dopo 50 anni di ricerca

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 06 giugno 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il 21 maggio del 1805, quando Friedrich Wilhelm Adam Sertürner da Paderborn isolò la morfina dall’oppio in una farmacia di Einbeck, non aveva scoperto solo una nuova classe di molecole, gli alcaloidi, ma inconsapevolmente aveva aperto una via che avrebbe portato la ricerca sulle tracce di un sistema di segnalazione cerebrale che solo negli anni recenti ha rivelato la sua straordinaria e multiforme importanza nella fisiologia del sistema nervoso centrale. Dopo averla assunta ed averne somministrato una dose al suo cane che entrò in uno stato simil-comatoso, Sertürner dedusse che la principale proprietà della sostanza fosse l’induzione del sonno e, in base a questa supposizione, dal nome del dio greco Morfeo[1], la denominò morfina. Solo in seguito si scoprì la potente attività analgesica e, per l’intervallo troppo breve tra dose minima efficace e dose mortale, fu considerata un pericoloso tossico e la sua fama sinistra fu alimentata dall’uso quale veleno da molti assassini del XX secolo, che ispirarono anche alcuni celebri romanzi di Agatha Christie[2].

Ma la storia recente, che continua ancora oggi con lo studio dei peptidi oppioidi, comincia quando nei maggiori laboratori del mondo, in cui si studiavano i recettori delle molecole di interesse neurobiologico, si lavora prima all’identificazione dei recettori della morfina e poi alla scoperta delle molecole naturali che si legano a quei recettori. Dopo i primi saggi effettuati nel 1970, ebbe inizio una vera gara internazionale fra gruppi di ricerca.

La lunga epopea si può sintetizzare in due tappe, seguendo la testimonianza di Candace B. Pert, una ricercatrice che in 12 anni ai National Institutes of Health (NIH) ha pubblicato oltre 200 lavori scientifici sull’argomento: il 25 ottobre del 1972 i risultati degli esperimenti della Pert, semplice graduate student, indicavano la scoperta del primo recettore degli oppiati, comunicata al direttore del laboratorio Solomon Snyder il giorno dopo; nel maggio del 1974, a un incontro ristretto organizzato da Snyder e collaboratori, Hughes annunciò di avere dati sufficienti per dire, prima di Avram Goldstein, che la morfina endogena o encefalina era un piccolo peptide.

A cinquant’anni dall’inizio di questa straordinaria avventura sperimentale, Lloyd D. Fricker e colleghi riassumono i risultati più importanti, propongono uno stato dell’arte della ricerca, con questioni non risolte, e indicano la direzione per gli studi futuri.

(Fricker L. D. et al., Five Decades of Research on Opioid Peptides: Current Knowledge and Unanswered Questions. Molecular Pharmacology Epub ahead of print doi: 10.1124/mol.120.119388, June 2, 2020)

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Molecular Pharmacology, Albert Einstein College of Medicine, Bronx, NY (USA); Department of Neurology, UCSF Weill Institute for Neurosciences, San Francisco, CA (USA); Department of Pharmacological Sciences, Icahn School of Medicine at Mount Sinai, New York, NY (USA).

Dall’identificazione dei primi peptidi oppioidi – allora definiti oppiati – sono state individuate 20 molecole peptidiche agenti sui recettori mu, delta e kappa, tutte originate, mediante l’intervento proteolitico sequenziale di pro-ormone convertasi e carbossipeptidasi E, dagli stessi 3 precursori: pro-encefalina, pro-dinorfina e pro-oppiomelanocortina. Ciascuno dei peptidi si lega a tutti e tre recettori, sia pure con differente grado di affinità.

Come sottolineano Lloyd D. Fricker e colleghi, i peptidi derivati da proencefalina e prodinorfina sono ampiamente distribuiti nel cervello, e gli mRNA che codificano tutti e tre i precursori sono altamente espressi anche in alcuni tessuti periferici.

Una grande sfida, come per le 52 molecole che fungono da neurotrasmettitori nelle sinapsi del sistema nervoso centrale, è stabilire il profilo funzionale di ciascun peptide, cercando di definirne il ruolo in rapporto a contesti fisiologici conosciuti. A questo scopo sono stati sviluppati differenti approcci per analizzare l’attività svolta in specifici circuiti cerebrali o in rapporto a definiti comportamenti misurabili. Ad esempio, la somministrazione diretta dei peptidi ex-vivo (cioè a tessuti escissi) o in vivo (in animali), usando antagonisti di specifici recettori oppioidi per dedurre l’attività del peptide endogeno, o l’impiego della PET (tomografia ad emissione di positroni) per rilevare un cambiamento nella disponibilità dei recettori quale segno del rilascio di peptidi.

Sebbene ciascun metodo e ciascuna tecnica presenti limiti e aspetti criticabili, alcune deduzioni compiute nelle osservazioni sperimentali sono apparse indipendenti da metodica e procedura, perché confermate con tutti gli approcci. Tali nozioni hanno accresciuto la nostra attuale capacità di comprendere sia quanto acquisito dalla ricerca del passato sia quanto sta emergendo dalla sperimentazione in corso.

Fricker e colleghi, dopo aver ripercorso le tappe salienti della storia dell’identificazione di ciascun tipo di peptide oppioide, evidenziano i risultati più importanti e, soprattutto, affrontano il problema delle false convinzioni – che non esitano a chiamare “miti” – diffuse anche tra i ricercatori ma non supportate da dati recenti. Si rimanda alla lettura del testo dell’articolo originale per la discussione su questi miti e, soprattutto, per l’elenco delle domande che ancora non trovano risposta. Qui si riporta in sintesi la questione di maggior rilievo per gli autori: l’attivazione dei recettori degli oppioidi da parte di oppiati o farmaci ottenuti per sintesi in laboratorio, determina effetti biologici centrali e periferici, quali analgesia e depressione respiratoria, ma questa sembra non essere la funzione primaria dei peptidi endogeni. Sembra invece che le molecole naturali svolgano ruoli differenti, e in parte fra loro condivisi, nel quadro complesso della partecipazione alla fisiologia di una varietà di sistemi, incluse le vie del sistema a ricompensa. La sfida maggiore per le ricerche future sarà stabilire l’esatto profilo biologico, incluso il valore evolutivo, del ruolo di ciascun peptide oppioide, preso singolarmente, e di tutte le specie presenti nello stesso organismo, considerate nel loro insieme.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-06 giugno 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] In realtà il dio greco del sonno era Ipnos, peraltro raffigurato come un giovane alato dormiente che stringe tra le dita dei papaveri (!), Morfeo era uno dei suoi figli, modellatore dei sogni, che il padre inviava ai mortali.

[2] Sull’azione della morfina si veda Note e Notizie 08-10-11 Il circuito della morfina nella sua azione acuta.